Chaplin Charlie
Charles Spencer Chaplin nasce il 16 aprile 1889, a Londra, nella tipica periferia suburbana. Il padre era guitto del musuc-hall detito al bere mentre la madre, mediocre cantante, in perenne difficoltà nel trovare lavoro, affida Charles e Sidney (fratello di quattro anni più vecchio) ad un orfanotrofio dove restano due anni.
Infanzia difficile dunque, la sua. A cui si aggiungono a spirale, in un rincorrersi tragico, altri problemi derivati da quella condizione di miseria umana e materiale. Non solo i genitori ad un certo punto si separeranno, ma la madre svilupperà anche una brutta malattia mentale che la costringerà ad un penoso via vai di ricoveri ospedalieri e faticosi ritorni sulle scene. In mezzo a tutto questo, però, Chaplin coltiva forte il sentimento di una necessità di miglioramento, un’ambizione per una vita più dignitosa a cui si vanno ad aggiungere la sua innata intelligenza e la capacità di saper cogliere aspetti del reali oscuri agli altri.
Il talento del giovane Charles, d’altronde, fa presto a manifestarsi. A soli sette anni già affronta il palcoscenico come cantante mentre a quattordici ottiene le sue prime parti teatrali che lo vedranno a lungo in tournée.
Durante un giro di spettacoli ad Hollywood nel 1913, il produttore Mack Sennett lo scopre, inducendolo poi a firmare il primo contratto cinematografico con la Keystone e nel 1914 fa la sua prima apparizione sullo schermo.
Per le brevi comiche da realizzare Chaplin creò pian piano il vagabondo “Charlot” (chiamato inizialmente “Charlie” ma poi ribattezzato Charlot nel 1915 da un distributore francese), confezionato da Chaplin nell’indimenticabile “divisa” fatta di baffetti neri, bombetta, giacchetta stretta e corta, pantaloni larghi e sformati e bastoncino di bambù.
Nel 1918, firma un contratto da un milione di dollari con la First National per la quale realizza, sino al 1922, nove mediometraggi fra cui classici assoluti come “Vita da cani”, “Charlot soldato”, “Il monello”, “Giorno di paga” e “Il pellegrino”.
Seguono i grandi film prodotti dalla United Artists (la casa fondata dallo stesso Chaplin nel 1919 con Douglas Fairbanks sr., D. W. Griffith e Mary Pickford): “La donna di Parigi”, “La febbre dell’oro” e “Il circo negli anni ’20”; “Le luci della città” e “Tempi moderni” negli anni ’30; “Il grande dittatore” e “Monsieur Verdoux” negli anni ’40; “Luci della ribalta” nel 1952.
In molti suoi film aveva analizzato la realtà cupa dei lavoratori, dei poveri e degli emarginati, mettendo in piena luce le contraddizioni della società statunitense. Benché vivesse negli Stati Uniti da molti anni e vi pagasse le tasse, Chaplin non aveva mai chiesto la cittadinanza statunitense.
All’uscita di Monsieur Verdoux venne pubblicamente accusato di “filocomunismo” e nel 1949 divenne uno dei bersagli del movimento innescato dal senatore Joseph McCarthy. Chaplin negò sempre.
Nel 1951 iniziò a girare quello che sarebbe stato il suo film d’addio: Luci della ribalta, tratto da un suo romanzo Footlights, mai pubblicato. Fu il suo ultimo film prodotto a Hollywood, e anche l’unico che interpretò assieme ad un altro mattatore del cinema muto: Buster Keaton.
La condanna decisiva nei suoi confronti arrivò nel settembre del 1952. Chaplin e la sua famiglia si erano imbarcati per l’Europa per quella che doveva essere una vacanza. Mentre si trovavano in mare il ministro della giustizia statunitense dispose per pubblico decreto che a Chaplin, in quanto cittadino britannico, non sarebbe stato permesso di rientrare nel paese a meno che non avesse convinto i funzionari dell’immigrazione di essere “idoneo”. Avutane notizia, Chaplin decise di stabilirsi in Europa fissando la sua residenza in Svizzera dove si spegnerà il 25 dicembre 1977, dopo aver girato altri due film.
Le foto presenti nell’archivio Riccardi risalgono al 1954, quando Chaplin, già in esilio volontario dagli USA, viene in Italia insieme alla moglie Oona O’Neal per assistere alle nozze del Principe Vittorio Massimo e Dawn Addams, nella chiesa dell’Ara Coeli a Roma.