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Luchino Visconti

Visconti Luchino

  • Marzo 17, 2016
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  • Archivio Riccardi

Nato a Milano il 2 novembre 1906, Luchino Visconti di Modrone, quarto dei sette figli del duca Giuseppe Visconti di Modrone e di Carla Erba, proprietaria della più grande casa farmaceutica italiana dell’epoca, è discendente di Francesco Bernardino Visconti, al quale, secondo alcuni, Alessandro Manzoni si sarebbe ispirato per la figura dell’Innominato ne I promessi sposi. Fa il servizio militare come sottufficiale di cavalleria a Pinerolo e vive gli anni della sua gioventù nell’agio di una delle più importanti famiglie d’Europa.

A soli 26 anni, guida una scuderia di cavalli di sua proprietà raggiungendo ottimi risultati. Fin da ragazzo studia violoncello, sotto la guida del grande violoncellista e compositore Lorenzo de Paolis ed è influenzato dal mondo della lirica e del melodramma, anche perché il padre è uno dei finanziatori del Teatro alla Scala di Milano e il salotto di casa Visconti è frequentato, fra gli altri, anche da Arturo Toscanini. Molti artisti vengono ospitati anche nella residenza di Villa Erba, sul Lago di Como, dove il giovane Visconti trascorre le vacanze estive con la madre Carla.

Al cinema Visconti esordisce nel ‘36 a Parigi, come assistente alla regia di Jean Renoir, conosciuto attraverso la stilista Coco Chanel. È l’epoca del “Fronte Popolare”, epoca in cui i partiti progressisti vanno al governo in Francia. In questo clima entra in contatto con alcuni militanti antifascisti fuggiti dall’Italia, con intellettuali come Jean Cocteau e. attraverso lo stesso, Jean Renoir, convinto comunista, si avvicina alle posizioni della Sinistra. Al fianco del grande regista francese, Visconti contribuisce alla realizzazione di Les bas-fonds (Verso la vita, 1936) e di Une partie de campagne (La scampagnata, anch’esso del ’36). In seguito riconoscerà sempre l’influenza avuta dal realismo di Jean Renoir e, in generale, del cinema francese degli Anni Trenta (si pensi a un film come Quai des brumesIl porto delle nebbie – di Marcel Carné) sulla sua opera di regista. Dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, nel ‘39 rientra in Italia a causa della morte della madre. Di nuovo con J. Renoir, comincia a lavorare a una coproduzione italo-francese, un adattamento cinematografico della Tosca ma, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il regista francese è costretto ad abbandonare il set per essere sostituito dal tedesco Karl Koch.

Dopo la scomparsa della madre si stabilisce a Roma e qui fondamentale sarà l’incontro con i giovani intellettuali collaboratori della rivista “Cinema”. Grazie a loro, si avvicina all’allora illegale Partito Comunista Italiano, a cui rimarrà legato fino alla fine. Da questo gruppo nasce una nuova idea di cinema, un cinema che, abbandonando le commedie dei “telefoni bianchi”, raccontasse realisticamente la vita e i drammi quotidiani della gente. Su queste basi, insieme agli amici Pietro Ingrao, Mario Alicata e Giuseppe De Santis, nel ‘42 Visconti avvia il progetto per Ossessione, il suo primo film, ispirato a Il postino suona sempre due volte, il celeberrimo romanzo di James Cain, da cui, nel ‘46, verrà tratto l’omonimo film di Tay Garnett con Lana Turner e John Garfield e, trentacinque anni dopo (nell’81) il remake di Bob Rafelson con Jessica Lange e Jack Nicholson. Protagonisti sono Clara Calamai, che sostituisce all’ultimo momento Anna Magnani, Massimo Girotti, Juan de Landa, ed Elio Marcuzzo. La vicenda comincia in un’osteria lungo una strada della bassa pianura padana per poi spostarsi ad Ancona e infine a Ferrara. La scelta di girare in queste città per l’epoca era decisamente controcorrente e conferisce al film un tono di realtà quotidiana che ancora oggi, a distanza di oltre settant’anni, continua a sorprendere. Con Ossessione Visconti dà avvio al genere cinematografico che poi verrà chiamato Neorealismo. Sarà proprio il montatore del film (Mario Serandrei), dopo aver visionato la pellicola girata, a dare per primo al film la definizione di “neorealista”, ufficializzando così, sia pur inconsapevolmente, la nascita di uno stile espressivo che avrà grande fortuna negli anni seguenti. Il film, in un’Italia sconvolta dalla guerra, ha una distribuzione discontinua e tormentata.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, Visconti collabora con la Resistenza assumendo il nome di battaglia di Alfredo. Datosi alla latitanza, invita l’attrice María Denis, ad offrire ospitalità nella sua villa a decine di combattenti antifascisti.

Alla fine della guerra Visconti collabora alla realizzazione del documentario Giorni di gloria, un film di regia collettiva dedicato alla Resistenza. Visconti gira le scene del linciaggio di Donato Carretta, l’ex direttore del carcere di Regina Coeli, e cura la regia della fucilazione di Pietro Koch. Altre sequenze vengono girate da Gianni Puccini e Giuseppe De Santis. Nello stesso tempo si dedica all’allestimento di drammi in prosa con assolute prime rappresentazioni (notissima è la compagnia formata con Paolo Stoppa e Rina Morelli) e, negli Anni Cinquanta, anche alla regia di melodrammi lirici. Nel ‘55, avrà anche l’opportunità di dirigere Maria Callas ne La Sonnambula e La Traviata, entrambe rappresentate alla Scala.

Nel ‘48 torna dietro la macchina da presa realizzando La terra trema, adattamento de I Malavoglia di Giovanni Verga. Un film crudo e polemico, di stampo quasi documentaristico, e che denuncia apertamente le condizioni sociali delle classi più povere. Uno fra i pochi film italiani interamente in dialetto. Bellissima (1951), tratto da un soggetto di Cesare Zavattini e interpretato da Anna Magnani e dal giovane Walter Chiari, analizza in modo impietoso il “dietro le quinte” del mondo del cinema. Siamo donne (1953), anch’esso tratto da un soggetto di C. Zavattini, mostra un episodio della vita privata di quattro attrici celebri (Anna Magnani, Ingrid Bergman, Isa Miranda, Alida Valli). Nel ‘54 realizza Senso, il suo primo film a colori, ispirato a un racconto di Camillo Boito, e interpretato da Alida Valli e Farley Granger. Il film segna una svolta nell’arte di Visconti. La cura del dettaglio scenografico è estrema e alcuni lo definiranno impropriamente un “tradimento del neorealismo”.

Nel ’56, in seguito ai drammatici fatti di Budapest, fa parte degli intellettuali comunisti che manifestano contro l’invasione sovietica dell’Ungheria, ma non lascia il partito. Le notti bianche (1957), ispirato all’omonimo romanzo di Dostoevskij, interpretato da Marcello Mastroianni, Maria Schell e Jean Marais, e vincitore del “Leone d’Argento” alla Mostra del Cinema di Venezia è un film in bianco e nero la cui caratteristica fondamentale e peculiare è un’atmosfera plumbea e nebbiosa.

Rocco e i suoi fratelli (1960) è la storia di una famiglia di lucani che si trasferisce a Milano per cercare lavoro. Narrato con toni da tragedia greca, il film provoca enormi polemiche a causa di alcune scene ritenute crude e violente, nonché (e soprattutto) per le posizioni politiche del regista. Vicino al Partito Comunista fin dai tempi della Resistenza, Visconti è ormai soprannominato “il Conte rosso”. Nonostante le polemiche, il film riesce comunque a vincere il “Gran Premio della Giuria” a Venezia. L’anno seguente, insieme a Vittorio De Sica, Federico Fellini e Mario Monicelli, realizza il film a episodi Boccaccio ’70. L’episodio di Visconti, Il lavoro, è interpretato da Romy Schneider, Romolo Valli, Paolo Stoppa e Tomas Milian.

Nel ‘63 riesce a metter d’accordo critica e pubblico con Il Gattopardo, tratto all’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, interpretato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Romolo Valli, Rina Morelli, Serge Reggiani, dal giovane Mario Girotti (quattro anni prima che diventasse Terence Hill) e da una giovanissima Ottavia Piccolo. Vincitore della “Palma d’Oro” al Festival di Cannes, il film riscuote grande successo anche in Europa, mentre alla prima uscita negli Stati Uniti, nonostante la presenza di B. Lancaster, notissimo negli USA per numerosi film noir, avventurosi, drammatici, e western, il film ha scarso riscontro.

Nel ‘65 esce il film Vaghe stelle dell’Orsa, ispirata nel titolo a Leopardi e interpretata da Claudia Cardinale e Jean Sorel. Nel ‘66 gira La strega bruciata viva, episodio del film collettivo Le streghe, interpretato da Silvana Mangano. Del ‘67 è Lo straniero, ispirato all’omonimo libro di Albert Camus e interpretato da Marcello Mastroianni.

Alla fine degli Anni Sessanta, ispirandosi al dibattito storiografico postnazista, realizza La caduta degli Dei (1969), interpretato da Dirk Bogarde, Helmut Berger e Ingrid Thulin. Il film (storia dell’ascesa e caduta della famiglia proprietaria delle più importanti acciaierie tedesche all’avvento del nazismo), insieme ai successivi Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1972) forma quella che verrà poi definita la “trilogia tedesca”. Morte a Venezia, tratto dall’omonima opera di Thomas Mann e scritto da Nicola Badalucco e dello stesso Visconti, narra la vicenda del compositore Gustav von Aschenbach (interpretato da D. Bogarde in una fra le migliori performance della sua carriera) esplorando il tema di una bellezza ideale e irraggiungibile Infine, Ludwig, fra i film più lunghi della storia del cinema italiano (la versione integrale dura oltre 220 minuti) e interpretato da Hemut Berger, narra la storia del monarca di Baviera, Ludwig II, e del suo tempestoso rapporto con il musicista Richard Wagner, fino al suo progressivo ritiro dalla realtà e dalle responsabilità di governo, alla sua destituzione e alla sua morte in circostanze misteriose. La “trilogia” stava per trasformarsi in “tetralogia” con La montagna incantata, altro lavoro di Thomas Mann, a cui Visconti è molto interessato. Tuttavia, nel luglio il 27 luglio del ‘72, quando le riprese di Ludwig sono ormai terminate ma non è ancora stato iniziato il montaggio Visconti viene colpito da ictus e la parte sinistra del suo corpo rimane paralizzata. Il montaggio del film verrà terminato a Cernobbio.

Nonostante le precarie condizioni di salute, ritorna a lavorare curando, l’anno successivo, per il Festival dei Due Mondi di Spoleto, un celebre allestimento della Manon Lescaut diretto da Romolo Valli e, sia pur con grandi difficoltà, riesce a girare quelli che saranno i suoi due ultimi film: Gruppo di famiglia in un interno (1974), interpretato da Burt Lancaster e Helmut Berger e palesemente autobiografico, e il crepuscolare L’innocente (1976), tratto dall’omonimo romanzo di Gabriele d’Annunzio e interpretato da Giancarlo Giannini e Laura Antonelli.

Luchino Visconti muore poco dopo aver visionato, insieme ai suoi più stretti collaboratori, il primo montaggio del film a cui stava ancora lavorando. Le sua salma viene cremata e le sue ceneri, dal 2003, sono conservate  sull’isola d’Ischia, sotto una roccia de “La Colombaia” – la sua storica residenza estiva – insieme a quelle della sorella. L’innocente, eccezion fatta per alcune modifiche apportate dalla co-sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico – sulla base di indicazioni fornite dallo stesso Visconti nel corso di una discussione di lavoro -, uscirà nelle sale in quella versione.

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